Con una carriera che ha attraversato decenni di evoluzioni stilistiche, tecnologiche e comunicative, lo stilista Saverio Palatella, una delle figure più autorevoli del panorama della moda italiana, ha saputo coniugare con sensibilità e visione pionieristica la tradizione sartoriale con l’innovazione, diventando un punto di riferimento per le nuove generazioni di creativi.
Dalla Parigi degli anni ’80 alla contemporaneità delle piattaforme social, Saverio Palatella ha vissuto, e spesso anticipato, i cambiamenti che hanno ridefinito il ruolo della comunicazione nella moda. Cliente della nota agenzia milanese Terenzi Communications, Palatella si racconta in questa intervista.

Saverio, in che modo è cambiato il modo di comunicare la moda da quando ha iniziato la sua carriera a oggi?
“Quando ho iniziato nel 1981, il sistema era completamente diverso. Non c’era il digitale, la comunicazione era più lenta, più selettiva, più competente. Oggi siamo immersi in un mondo che definirei di “infobesity”, immagini, contenuti, stimoli continui, ovunque. Il lavoro si è fatto più ampio, ma anche più frammentato e stratificato. Il mio approccio è cambiato nel tempo perché si è dovuto adattare: ora bisogna navigare tra mille metodologie e strumenti, con una velocità che prima non esisteva”.

Come vede l’evoluzione della comunicazione moda, rispetto al passato?
“Una volta esistevano ruoli precisi: la redattrice di moda, l’ufficio stampa, lo stylist. Figure competenti, con una formazione specifica. Oggi molte di queste figure sono scomparse o marginalizzate. Sono state rimpiazzate dagli influencer, che spesso non hanno le competenze necessarie, ma si auto-definiscono esperti. Non è una polemica, è un dato di fatto: oggi chiunque può decidere di essere qualcosa, basta dichiararlo online”.

In questo contesto, quanto conta una buona comunicazione, un ufficio stampa serio e un uso corretto dei social media?
“Conta tantissimo. Ma dev’essere una comunicazione eticamente corretta, come il buon giornalismo. Serve obiettività, competenza, capacità di sintesi. Un ufficio stampa preparato deve saper leggere il contesto, comunicare in modo chiaro e immediato. Altrimenti si finisce nel caos della tuttologia, dove chiunque parla di tutto senza sapere davvero nulla”.

Come si rapporta oggi il mondo della moda con queste nuove figure digitali come influencer e blogger?
“Si rapporta come può. A volte bene, a volte male. Il problema è distinguere chi ha una vera preparazione e chi no. Se un influencer non ha chiavi di lettura culturali e tecniche, non può capire ciò di cui parla. È come voler leggere uno spartito senza conoscere la musica. Ci sono autodidatta brillanti, certo, ma spesso mancano riferimenti, storia, consapevolezza. E questo è un limite enorme”.

In base alla sua esperienza, come vede oggi il mondo della moda e delle tendenze?
Oggi siamo in un momento di stasi, di riciclo continuo. Tutto gira attorno ai concetti già visti negli anni ’90, ripetuti ossessivamente. È come se fossimo fermi al 1995. Ma sento che presto arriverà una nuova rivoluzione culturale, guidata dalle nuove generazioni. Le competenze vere torneranno al centro. E chi non ha preparazione uscirà di scena. Ci sarà una selezione naturale”.

Quali sono i principali rischi che corre oggi il fashion system?
“Il rischio maggiore è affidarsi a figure che non hanno le competenze. Il numero di follower non determina la qualità o la preparazione di una persona. È un errore comune: pensare che chi ha 50mila follower sia automaticamente competente. Ma spesso quei follower sono fake, acquistati. Io preferisco avere pochi follower veri, che capiscono e apprezzano il mio lavoro. E questo vale anche per le aziende: devono guardare oltre i numeri, alla sostanza”.

È possibile educare il pubblico a distinguere la vera competenza dalla “fuffa digitale”?
“Sì, è possibile. Ma serve tempo, e serve l’intervento di giornalisti, editori, divulgatori seri. Ci sono voci autorevoli e uffici stampa seri che sanno inquadrare, spiegare, giustificare ciò che raccontano. Ma sono una minoranza. Il problema è che siamo sommersi da informazioni senza rilevanza, da un mare di autocelebrazione. E in questa società dei numeri, dove tutto si misura in like e follower, diventa difficile emergere con la qualità, ma non impossibile”.

La sua è una visione chiara e appassionata…
“Sì, servono competenza, cultura e rigore per comunicare davvero la moda, ma non solo la moda. In un’epoca in cui tutti possono dire tutto, saper parlare non equivale a saper comunicare, per fare la differenza, servono studio, esperienza e un’autentica passione per il mestiere”.

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